Banderas premiato a Cannes come miglior attore

 

Altezza ipomediana e talento non possono coesistere? Bassa statura e fascino sono in contrapposizione? Ipostaturismo e redditività sul lavoro sono in antitesi? Banderas con la sua carriera di attore folgorante, la sua vita sentimentale sempre a fianco di donne stupende e il reddito dichiarato di 45 milioni di dollari/annui contraddice questo pregiudizio.

Un’ovazione ha accolto l’Antonio superstar -174 di classe cristallina- mentre riceveva il premio. Per trionfare a Cannes, l’attore, 58 anni, doveva tornare in Europa dopo vent’anni di carriera hollywoodiana e lavorare nuovamente con Pedro Almodòvar. Almodovar è il regista che lo aveva lanciato negli ’80. Dolor y Gloria è l’ottavo film che riunisce il regista spagnolo e Antonio.

Come si sente?
«Salire su quel palco non è stata una buona notizia per il mio cardiologo (ha avuto un infarto due anni fa)».

Se lo aspettava, il premio?
«L’ho detto dietro le quinte a Thierry Frémaux, il delegato generale del Festival: erano 40 anni che lo aspettavo».

A chi dedica la vittoria? «Sicuramente a Pedro, che da un quarantennio è il mio regista, il mio amico, il mio mentore. Gli voglio bene, lo ammiro e lo rispetto. Insieme ne abbiamo passate tante. Abbiamo sofferto, affrontato dei sacrifici, ottenuto dei successi. E il meglio, sono sicuro, deve ancora venire».

Che effetto le fa vincere con un film in cui interpreta lo stesso Almodòvar? «Non è un mistero per nessuno che dietro il personaggio di Salvador Mallo si nasconde proprio Pedro, che si è messo a nudo come non aveva mai fatto prima. In questo film abbiamo riversato tutto ciò che abbiamo: non soltanto noi stessi, ma la storia del nostro Paese».

Il suo personaggio fa uso di eroina. E la sua dipendenza qual è? «Ritrovare me stesso dopo l’infarto che mi colpì due anni fa. Ma il film parla soprattutto di riconciliazione. Bisogna fare pace con gli spazi della nostra vita rimasti vuoti che riguardano le persone che amiamo, la famiglia, il cinema. Per questo il pubblico si rispecchia nella storia che abbiamo raccontato. Tutti hanno provato dolore».

Com’è riuscito a calarsi nei panni di Almodòvar? «Ho dovuto uccidere Antonio Banderas. Intendo dire che ho dovuto rinunciare ad alcune caratteristiche della mia recitazione: ma l’avevo capito già 9 anni fa quando, dopo 22 anni di lontananza, tornai a girare con Pedro La pelle che abito.Non a caso sul set ci sono stati conflitti».

Come ricorda i primi anni della vostra collaborazione? «Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, venivamo dagli anni bui della dittatura. E il cinema di Pedro ha rappresentato il cambiamento, la libertà, la voglia di esprimersi, trasgredire».

Per Banderas, aspirante calciatore da giovane, il fisico è stato pensato come un’arma del suo successo. L’ipostaturismo è diventato un elemento del suo fascino.

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